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Da segretaria a puttana


di lacavalla
27.04.2009    |    96.072    |    58 9.6
"Sentivo la voglia pulsarmi nel clitoride, gonfiarlo..."
Era ormai da diverso tempo che rinunciavo a tante cose… uscite, vestiti, parrucchiere… Non volevo pesare sulle spalle di Bruno. Mi imbarazzava, mi sentivo un peso anche se continuava a dirmi che per lui era normale pensare alla moglie, anche se il suo stipendio non era un granché. Mille annunci, telefonate, ma sembrava che non servissi proprio a nessuno, che nessuno mi volesse. Non appena dicevo quanti anni avevo, era come se stessi ad un passo dalla pensione, eppure avevo solo 35 anni. Ero fuori dal limite dei contratti di formazione, perciò, poco conveniente… Fino al giorno in cui ricevetti un suo sms che diceva: "Preparati cucciolo, ho una bella notizia per te… un lavoro… ti chiamerà la persona interessata tra poco… un bacio e in bocca al lupo!" Il suo sms scorreva sul display del telefonino su e giù, senza che capissi più quale fosse l'inizio e quale la fine. Non potevo crederci!!! Di lì a poco squillò il telefonino. Una voce distinta, con un leggero accento siculo che lo rendeva ancora più inusuale per me, mi chiedeva se fossi io la persona di cui gli aveva parlato un suo amico. Emozionata, tremante, cercavo di dare risposte dalle quali non trapelasse la mia ansia, ma tutto il mio impegno crollò quando mi disse: "Sono un avvocato, ed ho bisogno di una persona che si occupi della stesura delle sentenze. Sono a Napoli nei fine settimana per poter consegnare le sentenze di lunedì. Andrebbe bene per Lei?" Dovetti rispondere alla sua domanda in fretta, prima che mi interrompesse… "Signora, so che a lei servirebbe un lavoro fisso ma per il momento posso assicurarle solo qualche weekend, poi si vedrà…" La mia soggezione nei confronti di un uomo così importante filtrò soprattutto dai ringraziamenti. Esagerati, a ripensarci. La mia prima sensazione: wow!!! sarò la segretaria di un avvocato! Sapevo di essere attraente ma con classe, nel mio tailleur grigio molto chiaro, con la gonna sopra il ginocchio che avvolgeva le forme, senza lasciare che la mia persona venisse involgarita dal piccolo spacco sulla coscia sinistra. Una camicetta nera aderente con le maniche in nude-look spezzava il tono chiaro insieme alle scarpe nere con tacco alto da dodici e cinturino intorno alla caviglia. Mi specchio e mi chiedo se l’avvocato possa mai immaginare una donna così, al suo servizio. No, non avrebbe mai immaginato! Lo leggevo dentro i suoi occhi che rimasero attaccati al tailleur all'altezza dei miei fianchi mentre, sinuosi, si muovevano verso il divano di pelle bianco dove mi pregò di sedermi, e lì, affondarono insieme, nella bianca "sofficità" dei cuscini. Era così come l'avevo immaginato al telefono, vicino alla settantina, robusto, distinto. Lui si siede di fianco, nella parte stretta a "L" del divano, dalla quale ha un'immancabile, perfetta ed ideale, angolazione per guardare lì dove la mia coscia diventa nuda, dove arriva il bordo di pizzo nero delle mie calze autoreggenti. Dove si è mai vista la segretaria di un avvocato in autoreggenti? Lì, dove si unisce il cielo alla terra. Lì, all'incontro perfetto dei sensi. Lì, dove nasce e muore un uomo. È lì che i suoi occhi trovarono la pace e il tormento. In breve, tra lunghe pause, mi spiega come sarà il nostro lavoro: "ma prima si passa alla pratica e prima si capisce il lavoro", mi dice, come se avesse fretta di togliermi da quella posizione che lo tormenta. Ci sediamo fianco a fianco, intorno al tavolo di cristallo dove è già acceso un PC portatile. La sua voce si fa calda, cerca in tutti i modi di tranquillizzarmi sull'assenza di difficoltà che ci sarà nello svolgere il lavoro. Mi starà vicino e mi controllerà per le prime volte, dice, fino a quando avrò preso confidenza con la terminologia, dato che il PC per me è uno strumento che ormai conosco benissimo. Già… mi starà vicino… Come sarà il suo stare "vicino"? Cominciamo. Lui detta la sentenza con tono regolare, mi dà il tempo di muovere le mie dita sulla tastiera e di ritrovare i tasti che sembrano scomparsi, a volte, tanta è l'agitazione nel cercarli, rapida. Piano, piano mi ammorbidisco. La mia schiena non sembra più d'acciaio ma si abbandona alla spalliera della sedia dove trova, inaspettato, il suo braccio. Le sedie si toccano per consentire all’avvocato di avvicinarsi al monitor, respirare il mio profumo, controllare lo scritto, appoggiare la sua spalla alla mia, rileggere e riflettere. Mi sento in imbarazzo, ora ancora di più, da quando ho preso coscienza che il suo braccio avvolge la mia spalliera. Ero in imbarazzo anche dal momento in cui, accavallando le gambe, lo spacco della gonna ha tradito quel meraviglioso pizzo delle calze. Sentivo aumentare in me quel timore reverenziale che non sapevo dove mi avesse portata ed in lui il livellarsi degli istinti al pari di tutti gli uomini che si lasciano infuocare dalla vista di due cosce tornite e sode, guarnite da pizzi e stringhe che hanno viaggiato, strusciando tra loro, sull’autobus zeppo di gente. Tra una pausa e l'altra prendeva il codice, se lo poggiava sulle gambe, lo sfogliava, e tra una pagina e l'altra, sapendo di avere la mia attenzione sul codice sulle sue gambe, noncurante, si sfregava con la punta delle dita, la punta di qualcosa che stava prendendo forma dentro i suoi pantaloni. Fu quando scrissi una frase, non ricordo quale, anzi sì, una banale "Via XX settembre" che tutto capitolò… Di colpo s'avvicinò al monitor, sostituendo la sua figura alla mia nel riflesso dello schermo, con tale scatto che m'impaurì, e disse: "No! Non ci posso credere!" D'un tratto mi prese un crampo allo stomaco. Che avevo combinato? Che figura avrò mai fatto? E lui, che scoppiò in una risata euforica: "Sei la mia prima assistente che scrive in modo corretto questa caspita di via, sapessi quanti "orrori" di ortografia ho dovuto correggere fino ad oggi!" e dicendo questo mi abbracciò ed io finii impietrita, con la faccia sul suo colletto zuppo di dopobarba. Ci rimasi incollata finché non decise di mollare la presa. Lentamente allentò la sua stretta, come chi sa che ormai la preda non fuggirà. Mi prese le mani, sorrideva, mi fece un sacco di complimenti su come si stava trovando bene a lavorare con me e che gli era stato detto, che si sarebbe trovato bene, in tutto, con me. Fu quel "in tutto" che finì per farmi tornare un pezzo di ferro, tremante, cercai qualche parola per togliermi d'impaccio, per tutti quei complimenti ma non venne niente e mentre le sue mani, con dentro le mie, ora si poggiavano nel punto esatto in cui finiva la mia gonna, finalmente mi disse, avvicinandosi al punto che sentivo l'odore del suo dentifricio: "stai tranquilla, rilassati, abbiamo concordato tutto… dovere e piacere… vieni…". Lo guardavo avvamparsi negli occhi, lo sentivo pigiare le mani sempre più su verso il pube. Ora eravamo uno di fronte all'altra. I miei occhi bassi, spaventati. Avevo capito di cosa si trattasse il mio lavoro. Avevano concordato? Concordato cosa? Non feci in tempo a pronunciarle nella mente quelle parole che mi prese per mano e mi guidò lungo un corridoio stretto e buio spezzato in due punti da un fascio di luce che proveniva dalle stanze annesse. Mentre mi guidava cercavo di fargli resistenza, lo supplicai, tremavo… Non potevo essere stata venduta da mio marito, non volevo, doveva essere il mio lavoro di segretaria di un avvocato… Lo volevo… Rivolevo tutta la mia dignità, tutto il mio entusiasmo, e la mia buona volontà. Mi aggrappai ad una speranza, un equivoco, lo gridai. "Non c'è nessun equivoco bambina, il tuo caro maritino è stato molto chiaro nel descrivermi i tuoi pregi ed i servizi che avrei potuto pretendere, in fondo ho già ben pagato il tuo uomo, ora resta solo da soddisfare le mie esigenze". Aveva organizzato tutto. Ci avevamo riso un sacco di volte quando gli dicevo, con un tono provocatorio, che sarei stata disposta a tutto pur di guadagnare qualcosa. Ma ora quel vecchio porco! Come sarebbe potuto essere con quel vecchio? Quello era il mio lavoro, e mi sentivo costretta, in trappola, piegata al volere dell'uomo che amavo. Ormai non potevo uscire da quella situazione. Pensavo a quanto si fosse fatto pagare il mio Bruno e che se fossi stata carina con l’avvocato, chissà, magari mi avrebbe pure trovato un buon posto, ma mentre pensavo lui si era già sbottonato i pantaloni e senza parlare cominciò a masturbarsi. Non c'era niente che mi eccitasse in lui, compresi quei boxer a righe bianche e rosse dal quale aveva tirato fuori qualcosa ancora informe, eppure appena mi spinse a sedere sul coperchio del water ebbi la sensazione di essere fradicia del mio liquido. Sentivo la voglia pulsarmi nel clitoride, gonfiarlo. Ero lì a lavorare con l’avvocato… Sentivo il suo odore e la sua voglia di farmelo succhiare, visto che i tentativi per indurirlo da se erano svaniti. In piedi, davanti a me, all'altezza della mia bocca, eccolo il suo cazzo… ma com'è il cazzo di un avvocato di quasi settant'anni? È avvizzito, guarnito alla base da una peluria bianca e grigia. Ma non appena lo accolgo tra le mie labbra sento che la pressione aumenta, si gonfia, è duro… Entra e esce dalla mia bocca, avvolto dalla lingua che succhia con piacere il cazzo di un avvocato… Stavo perdendo le forze, ma ormai il peggio era passato, ero stata più coraggiosa di quanto potessi pensare. Ora tutto il resto a venire poteva scorrere liscio. Infatti dopo neanche un secondo sentii la sua mano intrufolarsi nella mia camicetta e stringere il capezzolo; non sapeva che quella potesse essere la chiave per farmi diventare un vera troia. Appena lo strinse tra le sue dita cominciai ad agitarmi. Succhiavo ancora, ma ora sembravo volessi farlo venire in bocca, tanta era la mia foga. Aveva innescato un meccanismo senza freni inibitori, dove poteva chiedere tutto. Fu così che mi prese per i capezzoli, mi spinse ad alzarmi e a sedermi sul piano di marmo del lavandino. così, presa per i capezzoli raggiunsi la massima eccitazione, mi liberò del perizoma, mi prese per i fianchi e mi spinse il suo cazzo tutto dentro, fino al cervello, con le mie cosce che s'aprirono al massimo. Un dardo infuocato conficcato nel ventre fece esplodere, in pochi minuti, la mia lussuria in un lungo gemito. Mi morsi le labbra, lo guardavo con la sua pelle flaccida, eppure il mio piacere non voleva finire li. Avevo cominciato un lavoro impegnativo che sapevo bene come portare a termine. Lo tirò fuori gocciolante del mio liquido misto alla sua sborra e non me lo chiese, mi spinse giù, inginocchio ai suoi piedi e mi fece leccare le gocce di sperma che scorrevano dal suo sesso ancora turgido, voglioso di ritrovare un piacere conosciuto. Ma in quella posizione fu subito spinto a dare vita al più porco dei suoi desideri… All'improvviso mentre mi avvicinavo per ricominciare a succhiarlo, mi zampillò addosso un liquido caldo, abbondante, che prese a sgocciolarmi lungo il seno, sul ventre e tra le cosce. Ma non la finiva più, continuava, e dall'odore capii che l’avvocato mi aveva pisciato addosso... la più alta dimostrazione di superiorità. "Ed ora succhialo fino a farmi venire, puttana…”, queste le sue uniche parole prima che di colpo il suo seme caldo m'invadesse il palato. Mi venne il vomito, cercai di resistere, ma per ogni attimo in più che avevo il suo schifo in bocca, era un conato in più, feci finta di pulirmi col braccio e mi liberai dell’avvocato, almeno dalla bocca. Il mio lavoro per quel giorno era finito. Ci rivestimmo. Lui ritrovò subito il contegno e l'aspetto distinto che me lo aveva fatto piacere, io ci misi un po’ di più a riappropriarmi della mia dignità, la dignità di una donna che era passata dal bisogno, al dovere, al piacere, allo schifo. Verso se stessa o verso l’avvocato, era lo stesso. Fu una sorpresa trovare mio marito ad aspettarmi sotto il portone dell’avvocato, ma a pensarci bene, non più di tanto. Era normale che mi fosse venuto a prendere per chiedermi delle mie imprese. Per sapere e per godere di nuovo dentro di me, al racconto di quel che ero stata capace di fare, certo, che gli avessi fatto fare una bella figura. Lo aveva fatto apposta no? Solo per soddisfare i suoi desideri, per dimostrare il suo potere su di me. Avrei voluto vomitargli addosso tutto lo schifo che avevo provato. Ma stranamente durante tutto il viaggio mi chiese solo come era andata e se fossi soddisfatta del mio nuovo lavoro, con una luce negli occhi che non nascondeva la gioia e la soddisfazione di aver fatto qualcosa di bello per me. E fu allora che mi si gelò il sangue. Fu quando gli chiesi: "Quanto ti sei fatto pagare per farti scopare la moglie da un avvocato?", che i suoi occhi s'avvamparono di rabbia e odio, che capii di essere stata ingannata. Fu allora che lo abbracciai sentendo d'amarlo più della mia vita, perché non mi aveva venduta e mai lo avrebbe fatto.
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